Ricorre quest’anno il 150esimo anniversario della nascita del Presidente Einaudi.
La Fondazione Luigi Einaudi, la più antica Fondazione italiana che porta il suo nome, lo ricorderà oggi a Palazzo San Macuto e durante il corso dell’anno in tante altre località italiane rivolgendosi soprattutto alle giovani generazioni.
In una commemorazione di tanto tempo fa di Dogliani, Guido Carli ha richiamato due citazioni dall’Einaudi politico: la proposta di abolizione del valore legale dei titoli di studio, ritenuta condizione essenziale per la libertà di insegnare e apprendere e il giudizio sugli stati nazionali, ritenuti da Einaudi ormai polvere senza sostanza, e appello alla Costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Queste citazioni einaudiane risalgono nel tempo. Tuttavia il momento di archiviarle nel passato storico non sembra ancora venuto, perché le questioni poste da Einaudi restano tuttora aperte. Gli Stati Uniti d’Europa restano un miraggio rispetto alle contese di Bruxelles. I titoli di studio servono sempre di meno alla certezza del posto ma mantengono il loro corso legale. Einaudi fu economista, statista e liberale. Certo, Einaudi fu senz’altro e prima di tutto economista, continuatore della grande tradizione della scuola italiana della scienza delle finanze. Ma egli fu la testimonianza più limpida del detto di Friedrich von Hayek, che non è un buon economista colui che è soltanto un buon economista.

Il liberismo

Einaudi fu un liberista, e non vi sarebbe bisogno di ritornare sul suo liberismo se esso non fosse stato tante volte male interpretato. Giova oggi farlo, in tempi in cui tanto si parla di trionfo di un liberismo che non si sa bene cosa sia, e che spesso intrattiene un rapporto solo superficiale con quello dei classici del pensiero liberale. Nella celebre polemica con Benedetto Croce egli rivendicava il ruolo ineliminabile della libertà economica per una qualsiasi società libera e prospera. Vi era innanzitutto lo scienziato della società dietro questa difesa. Il sistema del libero mercato, del commercio non impedito da vincoli di varia natura, della libertà di intrapresa, aveva per Einaudi, dimostrato storicamente prima ancora che teoricamente la propria superiorità. Scrivendo negli anni tardi, egli tesseva l’elogio del profitto, concetto tanto bistrattato – almeno fino a ieri – da statalisti di ogni partito, e nel quale egli vedeva invece uno dei fattori fondamentali della prosperità generale. Vi è qui chiaro il ruolo fondamentale eppur non autosufficiente del puro elemento economico. Il profitto viene esaltato non in quanto fine ma in quanto mezzo per quell’“avanzamento materiale e morale dell’umanità”. Einaudi rivelava il suo profondo debito intellettuale con i moralisti scozzesi del settecento, ed in particolare con Adam Smith. Significativamente, Einaudi non cederà mai alle letture “volgari” di Smith, che facevano della Ricchezza delle nazioni l’esaltazione dell’egoismo individualistico, e definirà “invenzione” degli antiliberisti, “si chiamassero o si chiamino essi protezionisti o socialisti o pianificatori” la tesi, attribuita appunto indebitamente a Smith ed alla tradizione liberale, per cui sarebbe vero che “i singoli uomini urtandosi l’un l’altro finiscono per fare l’interesse proprio e quello generale”.

Attualità

Egli sapeva bene che il funzionamento medesimo del mercato richiede la presenza di istituzioni, quali il diritto, che non sono riducibili a loro volta all’elemento economico, e tantomeno all’utile immediato. Riferendosi alle tendenze già in atto in età giolittiana, di trasferire sostanzialmente il potere di legiferare agli esperti, di ricorrere ai decreti-legge, così egli commentava: “Diciamolo alto e forte, senza falsi pudori e senza arrossire: la potestà legislativa deve spettare esclusivamente al corpo generico, alla Camera presa nel suo complesso, anche se incompetente nelle singole questioni e nei singoli suoi membri. Legiferare vuol dire stabilire dei principii e delle regole di condotta. A farlo non sono competenti gli specialisti ed i competenti. Costoro hanno un ben diverso compito: quello dell’esecuzione. A legiferare essi sono disadatti, perché guardano ad un solo aspetto della questione; mentre, anche nelle questioni minime, bisogna guardare al complesso. Per gli esperti, per la burocrazia, il Paese è materia da manipolare, è carne da macello; non anima da plasmare e da educare”. Non vi è bisogno di sottolineare l’attualità di questa posizione.

Il comitato promotore

Il comitato promotore dell’anno einaudiano composto da Lorenzo Infantino, Giuseppe Bozzi, Andrea Cangini, Enrico Costa, Ferruccio de Bortoli, Alessandro De Nicola, Emma Galli, Davide Giacalone, Renato Loiero, Alberto Mingardi, Enzo Palumbo, Luca Robaldo, Giuseppina Rubinetti, Giulio Terzi di Sant’Agata e Sofia Ventura, a partire da oggi, promuoverà le iniziative programmate.